Molto più di un semplice vitigno, il Pallagrello Nero è un pezzo di storia e cultura della Campania, in particolare di Caserta. Questo vitigno, dimenticato nel corso dei secoli, vive la rinascita grazie agli sforzi di produttori locali che ne riconoscono il grande potenziale. Con la sua complessità e versatilità, il suo legame con i Borboni e con la Reggia di Caserta, lo eleggono ad una delle espressioni più autentiche del territorio di Caserta.
Origini e storia del Pallagrello Nero
La provenienza del Pallagrello risale presumibilmente all’antica Grecia. Molte testimonianze lo collocano sulle colline caiatine, nell’area di Caserta già nel 1600, vivendo il massimo splendore nella seconda metà del XVIII secolo. Il vitigno deve il suo nome alla forma sferica dell’acino a “palla”, mentre “grello” è un termine che si riferisce alla consistenza dell’uva. Una delle caratteristiche che lo identificano, è che si distingue tra le poche varietà sia a bacca nera che bianca, quest’ultima confusa dai contadini locali per la Coda di volpe.
Sotto il regno dei Borboni, il Pallagrello Nero venne valorizzato e diffuso, diventando una delle varietà più apprezzate della Campania. Ferdinando IV di Borbone gli riservò un posto nella storica Vigna del Ventaglio di San Leucio. Un esteso vigneto a semicerchio con dieci raggi destinati alle uve prestigiose del Regno delle Due Sicilie. Era presente con il nome di Piedimonte rosso e Piedimonte bianco (il nome si rifà al comune di Piedimonte Matese dove compaiono le prime tracce) e divenne il vino del Re, presente sulla tavola reale in ogni occasione importante.
Agli inizi del Novecento la varietà sparisce, facendo spazio a vitigni più vigorosi ed è solo grazie a qualche caparbio viticultore e imprenditore che questo vitigno autoctono viene rilanciato alla fine degli anni novanta.
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