Dopo la giornata interlocutoria di ieri, dedicata all’ inaugurazione di Campania Stories addirittura nella meravigliosa Reggia di Caserta (chissà quanto avranno pagatoa quei tempi di ICI…) oggi siamo passati ai fatti, cioè agli assaggi dei bianchi campani.
In realtà la giornata di ieri è stata importante perché ha segnato l’inizio di un amore, quello tra me e il pallagrello bianco. Galeotta fu una memorabile visita da Alois, dove Massimo e Talita, oltre ad accogliemi come uno di casa mi hanno fatto capire una realtà che io avevo solo intravisto.
Sto parlando dell’areale casertano dove si trova il Pallagrello Bianco, un vitigno che ha assolutamente bisogno di qualcuno che lo faccia conoscere al mondo. Mi assumo fin da ora l’onere e l’onore di diventare “portabicchiere ufficiale” (molto meglio che portavoce) di questo vitigno che ricade sotto la IGP Terre del Volturno ed è piantato, assieme al fratello Pallagrello nero, in una fascia che attraversa la provincia di Caserta leggermente a nord del capoluogo. Dal punto di vista dei terreni questi hanno come caratteristica che i suoli a minori altezze erano stati a suo tempo “coperti” dalla lava delle tre zone vulcaniche più vicine (Roccamonfina e Campi Flegrei e Vesuvio), con la conseguenza che adesso tanti vigneti affondano le radici praticamente in lava compattata dai secoli, ma comunque molto friabile.
Se si sale i terreni diventano calcarei e argillosi e naturalmente il pallagrello si eprime in maniera diversa, partendo comunque dal concetto che siamo di fronte ad un vitigno che non ha grande acidità ma che sopperisce ad essa con una sapidità ed una pienezza di notevole livello. Al naso abbiamo soprattutto belle note minerali (oddio, ho scritto minerali, che ne sarà di me!) e floreali che, e questo è il bello, si mantengono anche nel tempo. Ieri infatti Massimo mi ha fatto assaggiare fino ad un 2009 di Caiatì, che sembrava quasi più fresco del 2016.
Ma la liaison con il pallagrello bianco è continuata anche per cena, quando ho incontrato altri produttori (Aia delle Monache, Terre di Lisandro, Sclavia, Vestini Campagnano, Viticoltori del Casavecchia) ed ho potuto assaggiare i loro vini.
I bello di questo vitigno è che non è invadente ma educatamente fermo nel farsi notare. Qualcuno lo declina più su note floreari e minerali, qualcuno più sul frutto che poggia però su un sostrato di erbe officinali. Qualcuno lo propone più esile e filante, altri più corposo e strutturato. Ieri serà l’ho abbinato perfettamente a: mozzarella, salame campano, pecorino di media stagionatura, carne alla brace e salsicce alla brace. Con ognuno di questi piatti riusciva a sposarsi benissimo e quindi non mi sembra di eccedere nel considerarlo un bianco da tuttopasto, adatto anche a piatti importanti di carne arrosto.
Interessante sarebbe anche la storia del vitigno, che incrocia quella dei Borbone e della Reggia di Caserta, ma non voglio tediarvi più di tanto.
Stamani mattina non vedevo l’ora di riassaggiarlo in maniera ufficiale, in degustazione bendata. Ne è venuta fuori una chiara conferma perché su 7 pallagrello degustati solo uno non mi è piaciuto, ma solo per colpa di un legno eccessivo che lo snaturava.
Alla fine di questa serenata al pallagrello bianco devo per forza fare qualche preferenza: ne faccio tre.
La prima è naturalmente per il Caiatì di Alois, delle varie annate degustate ( 2017 da botte, 2016, 2015, 2013, 2009): un vino di una coerenza, linearità e freschezza di alto livello, che si declina con elegante sapidità e note aromatiche che possono arrivare vicino all’idrocarburo.
il secondo è il sorprendente Pallagrello Bianco 2016 dei Viticoltori del Casavecchia, di una concretezza e piacevolezza quasi disarmante. Se si pensa che costa in cantina attorno ai 7 euro mi arrabbio con me stesso per essere venuto in treno e non in auto.
Il terzo è il Palllagrello Bianco 2016 della Cantina di Lisandro: un naso con frutta bianca, note di biancospino e soprattutto di pietra focaia ed una bocca elegante , con una chiusura giustamente amarognola e stuzzicante.
Attenzione, tutti questi vini ricadono sotto l’IGP Terre del Volturno.
Ma…voi magari volevate sapere della falanghina del fiano e del greco? Abbiate pazienza, arriverò anche a quelle. Del resto ad amor non si comanda.
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