Dagli avi che dice essere venuti dalla Spagna, Michele Alois ha preso i gesti magniloquenti e l' aspetto dell' hidalgo. Alto, di corporatura vasta e asciutta, la faccia come plasmata nella terra, riassume se stesso sostenendo che in età avanzata («Come mi vede, ho settant' anni a marzo, però mi sento trent' anni indietro da questa età») ha deciso di farsi «da setaiolo a vignaiolo», da un lato lasciando spazio ai figli nell' azienda tessile di San Leucio, che ha tappezzato Montecitorio e la Casa Bianca, e dall' altro assecondando un' antica passione sopita che con il tempo si era fatta imperiosa: «Ho smesso di occuparmi della seta perché quarantacinque anni di attività tessile, stando dietro a una scrivania, è un po' dura. Avevo questo piacere della natura, l' ho preso da mio padre che ogni giorno mandato da Dio lavorava la mattina in ufficio, ma il pomeriggio stava nei campi». Dunque la vigna l' ha cominciata quasi per divertimento inseguendo l' idea di sperimentare il vitigno "Casavecchia", celebre in antichità e poi mietuto dalla filossera. «Feci il primo impianto nel '92 e il primo raccolto nel '96. Volevo produrre un vino di famiglia, da distribuire tra parenti e dipendenti, riprendendo l' abitudine che mio padre aveva introdotto in guerra. Nel '99 imbottigliai i primi duecento "pezzi", e oggi mi trovo un' azienda ben avviata, una cantina all' avanguardia e una foresteria per la degustazione. Il "Casavecchia" è diventato "Trebulanum", dalla terra dove si coltiva, visto che già Plinio decantava la zona trebula.
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