Sulla tavola dei Bordone alla reggia di Caserta, il Pallagrello nero e bianco non mancavano mai. «Alcuni filari di questo vitigno», racconta Michele Alois produttore campano, «erano stati piantati molto vicini alla reggia. Fu un vino molto apprezzato da Ferdinando IV di Borbone che gli riservò un posto nella sua Vigna del Ventaglio, preferendolo ai vini del Vesuvio: divenne il vino del Re. Poi con l’unità d’Italia, la sua fama un po’ decadde fino a oggi che lentamente sta attirando l’attenzione che merita». Questo vitigno tradizionale è di casa in Campania sin dall’arrivo dei greci nella regione. Per i romani era la Pilleolata e con grande probabilità è la Vitis alopecis di origine greca descritta da Plinio il Vecchio. Il suo nome attuale è Pallagrello, ma non si sa bene se derivi dalla sua forma a palla o dal dialetto locale “U Pallarel” o dal pagliarello, il graticcio di paglia dove l’uva veniva tradizionalmente posta ad appassire.
PIEDE FRANCO E TERRENO VULCANICO - «È un’uva figlia della grande varietà di terreni della Campania, delle sue 5 zone vulcaniche che vanno dal Vulture al Vesuvio», prosegue Alois che ha scelto come casa della sua azienda una casa rurale borbonica dei primi dell’ Ottocento. «Le sue radici si immergono in profondità nell’Ignimbrite campana, ovvero quel terreno che si è andato formando dopo l’eruzione che ha interessato tutta la pianura campana circa 200 mila anni fa».